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Una ricerca dall’Università di Plymouth sulla biodegradabilità dei sacchetti

Posted on 4 anni fa

Una ricerca dell’Università inglese di Plymouth, pubblicata sulla rivista Environmental Science & Technology,  nella quale sono stati per la prima volta confrontati i comportamenti (in particolare, i deterioramenti) di cinque tipi di borse della spesa in determinati ambienti e condizioni: tale ricerca ha evidenziato che nessuna busta usa e getta della spesa si degrada completamente né rapidamente nell’ambiente. Il professor Richard Thompson, tra gli autori dello studio e direttore dell’International Marine Litter Research Unit, ha condotto con il suo team delle prove su sacchetti comunemente distribuiti nei negozi di Plymouth e hanno concluso che nessuno di essi, compresi i sacchetti compostabili, si è deteriorato in modo affidabile in tre anni per offrire loro vantaggi ambientali rispetto alle borse convenzionali.

Thompson e il suo team hanno testato cinque tipi di borse per la ricerca:

– un sacchetto compostabile

– un sacchetto biodegradabile

– un sacchetto convenzionale di polietilene ad alta densità

– due tipi di sacchetti oxodegradabili (prodotta da idrocarburi e addizionata con sostanze che ne favoriscono la frammentazione in tempi brevi).

Le buste erano state esposte alle condizioni ambientali in tre siti diversi, con un test nel terreno, all’aperto e nell’acqua:

– Per il test del terreno nel giardino dell’università, i campioni furono sepolti pochi centimetri di profondità.

– Per il test di esposizione all’aperto, i campioni sono stati posizionati su un muro nel giardino con esposizione a sud.

– Per il test marino, i campioni sono stati immersi più di tre metri sotto la superficie dell’acqua del porto di Plymouth.

– Un quarto sito è stato impostato in laboratorio come test controllo.

Per la realizzazione del progetto, alcune buste sono state tagliate a strisce e collocate in sacchetti di rete, esposte agli elementi esterni in ognuno dei tre diversi siti di test; sono stati utilizzati anche sacchetti interi in ciascuna delle posizioni di prova.

I campioni sono stati esposti ai diversi elementi il 10 luglio 2015 e ispezionati regolarmente per rilevare segni di perdita superficiale, fori o disintegrazione, oltre che per misurare la resistenza alla trazione (ovvero con quale facilità si sono rotti sotto tensione).

Dopo tre anni da quel lontano 10 luglio 2015 le sacche sono state recuperate e si sono potuti osservare i primi risultati su come si sono comportati i diversi materiali nelle diverse condizioni:

– In mare, la borsa compostabile è scomparsa in tre mesi. Al porto di Plymouth, tutte le borse e le strisce reattive si erano ricoperte da uno strato biologico di microbi dopo un mese.

– All’aria aperta, nel giardino, tutti i sacchetti e le strisce reattive erano diventati troppo fragili per essere ulteriormente testati o si erano disintegrati in microplastiche dopo nove mesi.

– Nel terreno del giardino, i sacchi sono rimasti intatti. Sebbene la borsa compostabile sia sopravvissuta nella sua forma originale per 27 mesi, non è stata in grado di reggere alcun peso senza  strapparsi.

“Complessivamente – si legge nella ricerca – i nostri risultati mostrano che per nessuna delle buste scelte per la ricerca si può essere certi che mostri un sostanziale deterioramento in un periodo di tre anni in tutti gli ambienti. Non è quindi chiaro se le formule oxo-biodegradabile o biodegradabile forniscano tassi di deterioramento sufficientemente avanzati da essere vantaggiosi, al fine di ridurre la spazzatura marina, in confronto alle buste convenzionali“.

Imogen Napper, a capo del team di ricerca, a proposito delle plastiche biodegradabili ha dichiarato: «Mi sono meravigliata molto nel constatare che dopo tre anni queste buste potevano ancora trasportare la spesa». Classificate come biodegradabili, «ci si aspetta automaticamente che si degradino in un tempo molto minore rispetto alle buste tradizionali. Ma le nostre ricerche dimostrano che non è questo il caso». E questo, chiarisce il quotidiano The Guardian, mostra che «non ci sono prove che l’introduzione di questi sacchetti porti davvero dei vantaggi nella lotta all’invasione di plastica nel mare».

Ulteriori dubbi sono stati infine sollevati dal professor Richard Thompson, il quale ha chiesto l’introduzione di standard internazionali più precisi: «Abbiamo dimostrato che i materiali testati non presentano nessun vantaggio concreto, rilevante e affidabile nel contesto dei rifiuti marini. Mi preoccupa invece che questi nuovi materiali rappresentino inoltre una sfida nel processo di riciclo».

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