La riformulazione dei criteri di classificazione dei rifiuti, introdotta dal Dlgs n.116 del 3 settembre 2020, ha portato ingenti aumenti della tassa rifiuti per molte aziende.
La norma prevede, infatti, che debbano essere considerati urbani: «i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti [quindi da imprese, enti e liberi professionisti] che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies», allegato che reputa in grado di produrre rifiuti urbani ogni attività economica, ad eccezione delle attività edili, agricole e delle aree di lavorazione e di magazzino di quelle industriali.
Di conseguenza, dal momento che le aree dell’azienda che ad ora possono produrre rifiuti urbani sono solo le superfici per le quali si deve pagare la tari, è fondamentale per le aziende stabilire correttamente e comunicare formalmente al Comune quali sono le aree non imponibili.
Le norme vigenti non prevedono limiti quantitativi per il conferimento dei rifiuti urbani al servizio pubblico di raccolta; perciò, non si può più beneficiare dell’esclusione dalla superficie imponibili dei magazzini delle imprese commerciali, di logistica o di servizio che in precedenza era prevista in relazione alla quantità di rifiuti speciali assimilabili (ma non assimilati) prodotti