Il 77% del fabbisogno italiano di energia è soddisfatto solo grazie all’import di petrolio, gas e carbone dall’estero, con un’esposizione enorme ai rischi geopolitici che stiamo pagando cara in bolletta, prima a causa delle dinamiche legate alla pandemia e oggi alla guerra condotta dalla Russia in Ucraina.
Sul fronte energetico, l’unica strada possibile per tenere insieme le ragioni economiche con quelle della crisi climatica in corso passa dalle rinnovabili. Ma gli sconvolgimenti in corso sui mercati delle materie prime vanno ben oltre il problema dell’energia.
L’Italia consuma ogni anno circa 500 milioni di tonnellate di materie prime, che per oltre la metà arrivano dall’estero; Ucraina compresa, dalle commodity alimentari ad importanti risorse per l’industria come ferro, titanio e grafite. Anche in questo caso, la strada per una maggiore autosufficienza passa dallo sviluppo sostenibile, attraverso il riciclo. Due aspetti che si tengono insieme, visto che anche il comparto del riciclo sta soffrendo l’impennata delle bollette energetiche.
«L’economia circolare rappresenta una risposta strategica per l’Italia in termini di diversificazione delle fonti», dichiarano nel merito Unirima, Assorimap e Assofermet, le principali associazioni nazionali di categoria nei settori della raccolta, recupero e riciclo di carta, plastica e metalli ferrosi e/o non ferrosi, nel corso dell’evento che si è svolto presso la Sala Zuccari del Senato, in occasione della Giornata mondiale del riciclo.
Secondo i dati aggiornati forniti dalle tre associazioni, in Italia la produzione di carta riciclata è pari a circa 6,7 milioni di tonnellate annue, mentre la capacità installata di riciclo di materiali plastici è pari a 1.800.000 tonnellate; gli impianti di recupero di rottami ferrosi e non, invece, annualmente raccolgono e riciclano circa 15 milioni di tonnellate di materiale, che viene avviato al comparto siderurgico e metallurgico in sostituzione delle materie prime vergini.
Numeri importanti, ma con tutta evidenza insufficienti. Basti osservare, guardando all’intero spettro dell’economia circolare, che nel nostro Paese il tasso di utilizzo circolare dei materiali (Cmu) è al 19,3%; il che significa che l’80,7% della nostra economia ancora non è “circolare” ma incide sul consumo di risorse naturali vergini.
Come migliorare? «La semplificazione del quadro normativo e amministrativo e in investimenti nell’innovazione degli impianti di recupero di materia prima secondaria/end of waste dai rifiuti, restano pertanto tra gli obiettivi principali», dichiarano le tre associazioni, sottolineando anche che «per quanto concerne l’impennata dei costi in bolletta non sono più sufficienti interventi spot da applicare periodicamente, piuttosto occorre studiare misure strutturali a beneficio delle imprese che contribuiscono fattivamente agli obiettivi della transizione ecologica attraverso il recupero della materia».
Obiettivi alla portata, se accompagnati dalla volontà politica di realizzarli, ma è necessario sottolineare che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. È indispensabile investire nel riciclo per ridurre la dipendenza del nostro Paese dall’import di materie prime e ridurre i nostri impatti ambientali, ma neanche la transizione energetica non sarà un pasto gratis: autorevoli studi mostrano con chiarezza che la necessaria corsa alle rinnovabili comporterà un crescente uso di minerali, e che per soddisfare questo fabbisogno dovremo (anche) aprire nuove miniere.
Meglio farlo in aree dove è possibile imporre più elevati standard sociali e ambientali, in Italia come in Europa, che non in zone del mondo dove le comunità locali e quella globale pagano per la nostra fame di risorse.