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Come mettere in crisi le aziende italiane

Posted on 4 anni fa

Il vertiginoso aumento dei prezzi dell’energia elettrica sta diventando un serio problema per le aziende della filiera del riciclo italiano, come emerge da un’analisi elaborata dal Consorzio Carpi. Si prospettano fermi di linee produttive, riduzione di capacità e ricorso alla cassa integrazione.

Tralicci energia elettricaIl forte aumento dei prezzi dell’energia elettrica si sta trasformando in un serio problema per la filiera del riciclo di materie plastiche e gli effetti incominciano a farsi sentire: molte aziende si preparano a fermare le linee produttive con conseguente rallentamento della produttività e ricorso alla cassa integrazione.

ITALIA AI PRIMI POSTI PER IL CARO ENERGIA. Prendendo i dati Eurostat, nei primi sei mesi dell’anno l’Italia risulta uno dei paesi europei che registra i maggiori costi dell’energia elettrica: escludendo le imposte, un’azienda italiana con una banda di consumo da 20 a 500 MWh, nel primo semestre 2021 ha pagato in media 0,1077 €/KWh, con un aumento di 0,0102 €/KWh rispetto al secondo semestre 2020.

Si tratta di un costo medio decisamente più elevato rispetto ad altri paesi UE come Danimarca (0,0911 €/KWh), Germania (0,1041 €/KWh), Croazia (0,1060 €/KWh), Olanda (0,0839 €/KWh), Ungheria (0,0995 €/KWh), Slovenia (0,0942 €/KWh) o Polonia (0,0986 €/KWh).

Se poi aggiungiamo le imposte, il divario cresce ulteriormente: sempre considerando i primi sei mesi di quest’anno, il prezzo medio in Italia si attesta a 0,2133 €/KWh, in crescita di 0,0141 €/KWh rispetto al semestre precedente, anche in questo caso più elevato di quanto riscontrato in Belgio (0,1888 €/KWh), Olanda (0,1854 €/KWh), Francia (0,1718 €/KWh), Spagna (0,1698 €/KWh), Repubblica Ceca (0,1649 €/KWh), Croazia (0,1361 €/KWh), Ungheria (0,1367 €/KWh), Slovenia (0,1368 €/KWh) o Polonia (0,1649 €/KWh).

UN ESEMPIO CONCRETO. L’impatto della fiscalità sul prezzo dell’energia in Italia è rilevante, come emerge da alcune analisi eseguite da C.A.R.P.I. in collaborazione con le aziende consorziate, frutto di un attento monitoraggio dei costi e dei consumi.

Così, per un’azienda tipo che si occupa di riciclaggio di rifiuti in plastica e della loro trasformazione in materia prima seconda, l’utilizzo di 1MW aggiuntivo per le proprie attività operative comporta un aumento del costo in fattura da 91,91 a 122,13 euro (dallo 0,194 allo 0,246% in più). L’aumento di 1 €/MWh del prezzo medio dell’energia provoca un relativo aumento del costo in fattura da 659,33€ a 726,66 euro (dallo 0,596% allo 0,713%).

L’aumento del prezzo medio dell’energia attiva e dell’onere medio relativo alle “spese imposte e addizionali” ha ricadute importanti in termini di riduzione dei quantitativi di rifiuti trattati dall’azienda: sempre considerando un’azienda tipo, l’incremento di 1 €/MWh nel prezzo medio dell’energia attiva provoca in media una diminuzione di 29,705 tonnellate di rifiuti riciclati, mentre l’incremento di 1 €/MWh nelle “spese imposte e addizionali” provoca mediamente una diminuzione di 111,59 tonnellate.

L’aumento dei costi influisce anche sulla quantità di energia effettivamente utilizzata, in quanto il solo aumento di 1 €/MWh del prezzo medio dell’energia attiva provoca una diminuzione dei consumi in azienda pari a 22,721 MWh (circa l’8,036% in meno).

CARO CARBURANTE. A questa situazione, già allamante, si aggiunge il forte rincaro dei carburanti: dall’inizio dell’anno al 22 novembre 2021, il prezzo medio del diesel è passato da 1,324 €/l a 1,611 €/l (+21,68%), mentre quello della benzina è aumentato da 1,450 €/l a ben 1,746 €/l (+20,41%); in entrambi i casi si tratta di valori molto superiori rispetto a quanto osservato nello stesso periodo dello scorso anno (+27,45% per il diesel, +25,34% per la benzina).

Oltre all’incremento dei prezzi medi dei combustibili, nei primi undici mesi del 2021 si registra anche un incremento delle accise sul diesel, passate da 0,856€ a 0,908€ (+6,07%), e di quelle sulla benzina, da 0,990€ a 1,043€ (+5,35%).

Da analisi eseguite dal Centro studi C.A.R.P.I., emerge che l’aumento di 1 dollaro nel prezzo del barile di petrolio provoca in media un incremento di 0,0051 euro nel prezzo del diesel senza le accise (+0,974%) e di 0,0063 euro considerando anche le accise (+0,448%); analogamente, porta a un incremento medio di 0,0053 euro nel prezzo della benzina senza le accise (+1,034%) e di 0,0065€ in quello con le accise (+0,429%).

Come per l’energia elettrica, anche i costi dei carburanti sono oggi in Italia superiori rispetto a quanto si riscontra in molti Paesi europei, come – ad esempio – Croazia (1,482 €/l il diesel, 1,484 €/l la benzina), Repubblica Ceca (1,420 €/l il diesel, 1,465 €/l la benzina), Francia (rispettivamente 1,556 €/l e 1,665 €/l ), Germania (1,561 €/l e 1,741 €/l ), Ungheria (1,299 €/l e 1,299 €/l), Polonia (1,281 €/l e 1,284 €/l la benzina), Slovenia (1,473 €/l e 1,363 €/l) o Spagna (1,380 €/l e 1,512 €/l ).

Questo trend difficilmente si esaurirà nel corso del 2022. D’altro canto, il nostro Paese, essendo importatore di energia elettrica, petrolio e gas, subisce in modo piuttosto pesante questi rincari. I benefici saranno invece colti dei paesi esportatori, che iniziano a conquistare sempre maggiori fette del mercato italiano.

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