Dal 2000 al 2023 in Italia ci sono stati ben 10 ministri dell’Ambiente; inoltre, nello stesso arco di tempo, nel nostro Paese il nome del Ministero in questione è cambiato diverse volte, passando da “Ministero dell’Ambiente” a “Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio” nel 2001, a “Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare” nel 2006, per poi diventare “Ministero della Transizione Ecologica” nel 2021 e, infine, “Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica” nel 2022.
Nello stesso periodo, in Italia sono inoltre cambiate le priorità che hanno guidato il Ministero negli anni: in principio, l’obiettivo principale era l’adozione di una crescita che ricalcasse i princìpi del cosiddetto “sviluppo sostenibile”, inteso come uno “sviluppo che soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Tuttavia, quando anche questo concetto ha perso il suo fascino, si è iniziato a coniare nuovi termini ed individuare percorsi apparentemente “innovativi”, parlando di green economy e transizione ecologica, che altro non sono che sinonimi di modelli di sviluppo già ampiamente previsti da ideologie antecedenti e già più volte analizzati in letteratura.
Ma è cambiato davvero qualcosa? Sono infatti ancora molte le lacune, soprattutto normative, che l’Italia non è ancora riuscita ad affrontare in maniera adeguata. Per esempio, se parliamo di rifiuti, l’Italia è a tutti gli effetti un’eccellenza europea e mondiale con un tasso di riciclo dei rifiuti urbani e speciali che si attesta circa al 72%.
Ciò nonostante, non mancano certamente le difficoltà in questo settore: il RENTRI, sul quale il Consiglio di Stato ha espresso alcuni dubbi, deve ancora entrare in funzione in sostituzione del disastro SISTRI ed è in ritardo da anni; la Parte IV del Testo Unico Ambientale continua ad essere modificata ogni anno con interventi “a cerotto” invece di venir semplificata in maniera organica; sentiamo ogni giorno parlare di “economia circolare” ma non è presente alcuna definizione in merito all’interno della normativa italiana in campo ambientale; mancano ancora svariati decreti attuativi per l’End of Waste e quelli che sono stati pubblicati hanno portato con sé diverse difficoltà operative per la loro attuazione; l’Italia continua poi ad essere trai primi paesi in Europa per numero di infrazioni contro il diritto ambientale europeo.
Questi sono solamente alcuni esempi all’interno di un ambito specifico, figuriamoci se dovessimo prendere in considerazione ogni settore collegato all’ambiente.
Chiunque lavori nell’ambito ambientale in Italia sa bene che parte di questi problemi trovano la loro origine nell’assenza di una chiara visione da parte della classe politica e nell’astrusità delle norme ambientali e di una burocrazia autoreferenziale, che insieme hanno creato un sistema estremamente complesso, controintuitivo e controproducente per ogni operatore.
Trattasi di una semplice constatazione della realtà perché, in fin dei conti, aveva ragione Giuseppe Tomasi di Lampedusa quando scrisse nel suo Gattopardo che “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”: sarebbe bello se fosse vero che per risolvere tutti i problemi legati all’ambiente e alla sua corretta gestione bastasse cambiare ministri, rinominare il ministero o inventarsi nuovi termini ed idee ma non è così.
In Italia è cambiato tutto ma alla fine non è cambiato nulla; servono invece riforme serie e durature che tengano conto delle difficoltà che riscontrano quotidianamente gli addetti ai lavori e dei loro consigli: queste riforme auspicate possono essere attuate solamente sulla base di un concreto piano industriale italiano che manca però da decenni, piano che consentirebbe di proporre interventi efficaci dal punto di vista economico ed ambientale valutandone allo stesso tempo tutti i possibili impatti sul lungo periodo.
Speriamo che il 2023 possa essere l’anno per iniziare questo percorso.