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Plastica riciclata, tanti oneri ma senza riconoscimenti. Un classico Italiano.

Posted on 4 mesi fa

Nel 2025 l’Italia supererà il 51% di riciclo degli imballaggi in plastica, avvicinandosi agli obiettivi UE. Un risultato rilevante, ma chi lo rende possibile resta in ombra. La politica celebra i dati, ma dimentica il sistema che li produce. Così si indebolisce un pilastro dell’economia circolare.

A chi va il merito di questi risultati? Ovviamente, la medaglia d’oro viene apposta in completa autonomia dalla forza politica di turno. Ma siamo davvero sicuri che il merito vada proprio in quella direzione? Non sarebbe più utile fermarsi a riflettere su una filiera che, ogni giorno, lotta contro i mulini a vento costruiti dagli stessi che oggi si compiacciono? Non sarebbe più onesto riconoscere che questo settore funziona grazie a regie aziendali che, tra mille ostacoli, mantengono la barra dritta verso obiettivi e direttive comunitarie, con rigore e concretezza? È risaputo: con le buone intenzioni non si ottengono risultati, e in questo l’Italia eccelle – nel dichiarare, nel promettere, nel complicare. Prendiamo un esempio concreto: dal 2024 l’UE impone che i tappi restino attaccati alle bottiglie. Un provvedimento pensato per ridurre la dispersione dei singoli componenti nell’ambiente. Ma i primi dati raccontano un effetto paradossale: lungo le spiagge italiane è stata rilevata una quantità tripla di tappi rispetto all’anno precedente.

Le organizzazioni che raccolgono i rifiuti lo confermano: molti cittadini, frustrati da un cambiamento mal comunicato e percepito come imposto dall’alto, finiscono per strappare i tappi con più rabbia che consapevolezza. Un gesto sbagliato, deprecabile e inutile – che peggiora il problema anziché risolverlo – ma che segnala un disagio reale. Segnala la distanza tra norma e realtà, tra chi scrive le regole e chi ne affronta le conseguenze quotidiane. Cosa vogliamo dire, dunque? Che non sempre un’imposizione normativa è vissuta come un’azione costruttiva. Anzi, talvolta produce un effetto boomerang: crea malcontento, scarsa adesione e, nei casi peggiori, risultati opposti agli obiettivi. In tutto questo, l’Europarlamento chiede spiegazioni. Ma i tempi non li detta. Ha agito negli intenti, ma sul piano operativo… si vedrà. Forse tra due anni. Forse più tardi. Nel frattempo, il danno è fatto. E correggere la traiettoria diventa impensabile senza un’azione tempestiva – soprattutto in un mercato già demonizzato per colpe che spesso non gli appartengono. Perché il punto è questo: non è chi produce a inquinare, ma chi utilizza in modo scorretto, o chi impone soluzioni inefficaci. Forse, sensibilizzando invece di obbligare, si sarebbero ottenuti risultati migliori, più duraturi e meno stressanti per tutti i soggetti coinvolti.

Ciò che stiamo vivendo è un costante riversare obblighi su cittadini e imprese, mentre ci si lava la coscienza parlando, a ogni occasione, di sostenibilità. Ma la sostenibilità vera non è fatta di commi, leggi, regolamenti. È fatta di scelte, di azioni concrete, di visione. Come quella di una filiera che, nonostante tutto, sta portando a casa risultati incredibili, grazie a spirito imprenditoriale, competenze, buon senso e ascolto della realtà. Il problema, come spesso accade, è di messa a fuoco. Si impone il tappo solidale per dimostrare impegno, ma non si valuta come verrà accolto né quali effetti collaterali possa generare. Il fine è lodevole, ma i fatti – come i nodi – vengono al pettine. E parlando di complicazioni, lo sguardo si sposta sul PPWR, il nuovo regolamento europeo sugli imballaggi, già oggetto di numerose diatribe. Un altro esempio di norma che, per come è stata costruita, fin da subito ha creato e sta creando confusione e complessità nell’applicazione. Ovvero tanta teoria e poca praticità. Non deve poi passare in sordina la prossima partenza del nuovo regolamento europeo sulle spedizioni di rifiuti, un cruciverba ma senza soluzioni.

Un segnale chiaro: il settore degli imballaggi in plastica è da troppo tempo sotto attacco, spesso per motivi che non derivano affatto dalla filiera. Tempi e sviluppi restano imprevedibili, forse biblici. Ma una cosa è certa: il progresso non si costruisce con imposizioni, bensì con misure equilibrate, condivise, che parlino alla testa e al cuore delle persone. Riconoscendo il merito a chi opera ogni giorno, e spostando l’attenzione – finalmente – dal demonizzare plastica e imballaggi al valorizzarli per ciò che realmente sono: materiali capaci di vivere molte vite, in un’economia che sa rigenerarsi. Nel dubbio, restiamo disponibili a ricrederci. Ma mentre noi lavoriamo e affrontiamo la realtà, chi norma continua a prendere meriti e complicarci l’itinerario. In bocca al lupo a tutti noi.

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